Canzoniere in lingua madre

TesioGiovanni Tesio, Vita dacant e da canté, Centro Studi Piemontesi, 2017

Francesco Granatiero

CANZONIERE IN LINGUA MADRE

«La forza dell’unità è nel due/ anzi nel tre che fonde tutti i contrasti» è detto nell’ultimo sonetto (pagina 369) di Vita dacant e da canté, un canzoniere di trecentosessatanove sonetti, appunto, dove il noto critico e massimo conoscitore della poesia in dialetto Giovanni Tesio, standosene «dacant», ossia di lato – come dice, stupito, nel sonetto proemiale – canta «’d còse cite», di cose piccole, traendole, a saliscendi, dall’acqua di un pozzo profondo: «mi lascio prendere a spintoni/ se – mai più io – sono la mia canzone che mi sogna» (I), una canzone “dittata” nel dialetto della sua infanzia, quello di Pancalieri (To), gelosamente e segretamente costodito fino ai settant’anni, per ubbidire a un’interiore, imperioso e inesauribile zampillo. Continua a leggere “Canzoniere in lingua madre”

Parole essenziali

Giovanni Tesio, Parole essenziali. Un sillabario, Novara, Interlinea, 2014

Al precetto di Joubert «mettere un intero libro in una pagina, una pagina in una frase e quella frase in una parola» si ispirò alla fine dei suoi giorni Lalla Romano. A lei si rifanno ora queste Parole essenziali del noto critico letterario Giovanni Tesio, un autore – finalmente scrittore in proprio – la cui opera si è sempre formata all’insegna di «magrezza e brevità». Continua a leggere “Parole essenziali”

Giovanni Tesio poeta

 

di Francesco Granatiero

Tesio

Del côté poetico di Giovanni Tesio, il noto studioso, critico letterario, filologo e storico della lingua, si ricorda il precedente In punto di svolta (1985), recante l’acuta prefazione di Pietro Gibellini, una corona gemmata ed irta di sonetti tutt’altro che canonici, con assenze di rime, spesso sostuite da assonanze e consonanze, paronomasie, ipometri e ipermetri, dove un dantesco trobar clus s’infratta in dedali e labirinti, per mezzo di una lingua estremamente colta e raffinata, densa ed espressiva, piena di arcaismi, latinismi, neologismi, tecnicismi. Continua a leggere “Giovanni Tesio poeta”

L’acciarino e la pietra focaia

Francesco Granatiero su
Giovanni Tesio
I più amati. Perché leggerli? come leggerli?
Novara, Interlinea, 2012

Lo scrittore Sebastiano Vassalli sul “Corriere della Sera” dell’11-3-2012, in un trafiletto dal titolo pedagogico-evangelico Lasciate che i ragazzi leggano a caso, sottolinea che quando si incomincia a leggere «ci si innamora della lettura, prima che dei libri» e che tutti i “grandi lettori” da lui incontrati hanno incominciato con letture casuali. Di questi lettori ne ricorda tre: Daniele Ponchiroli, «un protagonista un po’ in ombra della vecchia Einaudi»; il milanese Mario Spinella, che diceva di dovere ai libri alcuni dei momenti più belli della sua vita; e Giovanni Tesio, le cui coordinate di origini contadine e di scoperta della lettura vanno individuate «in un piccolo paese della pianura piemontese tra Pellice e Po, tra prati, campi e rii…». Continua a leggere “L’acciarino e la pietra focaia”

Su Mario Lattes

Franco Pappalardo La Rosa

L’“OMBRA” E GLI SPECCHI:
LA DISINTEGRAZIONE DELL’IDENTITÀ
DEL PERSONAGGIO-IO NEL ROMANZO
L’AMORE È NIENTE

Il protagonista, io-narrante in prima persona, del romanzo breve di Mario Lattes L’amore è niente,[1] è un piccolo borghese “inetto”, un uomo “senza qualità”. Di sé quest’io non dice il nome, preferisce rimanere anonimo, perché «può sempre esserci qualcuno che se ne serve per farci del male. Dire un nome può portare molta disgrazia».[2] Proprietario di un negozietto di ottica ereditato dal padre, sta personalmente al bancone della vendita degli occhi artificiali (più che altro, trascorre il tempo a modellare teste di conoscenti con la plastilina e ad applicarvi gli occhi di vetro); lascia, invece, che a servire le montature e le lenti per gli occhiali ai rari clienti provveda il commesso Fumel, con il quale intrattiene un rapporto ambiguo: gli affida, sì, l’intera gestione dell’attività commerciale, però lo teme, ne sospetta presunte trame e sotterfugi intesi a sottrargli la titolarità del negozio («Lo venderò, il negozio? O il Fumel ha già tramato per diventare lui il padrone? Del Fumel non mi fido, non c’è da fidarsi…»).

>>> L'”ombra” e gli specchi

Su Alfredo De Palchi

Franco Pappalardo La Rosa

NELLA «BUIA DANZA» DELL’ESISTENZA
Appunti sulla poesia di Alfredo de Palchi

1. C’è, in Sessioni con l’analista[1], una sezione intitolata Un ricordo del 1945, i cui tredici monologhi, incastonanti fulminei segmenti dialogici e impostati sul presente storico (che è quello della memoria graffiata dall’artiglio della sofferenza e, pertanto, un tempo riattualizzato), affondano lo scavo nell’irrimarginata ferita che ha dilacerato l’io nel corpo e nello spirito al tempo della sua giovinezza, quando, ingiustamente accusato, inquisito, torturato, condannato e trascinato infine nell’inferno di diverse patrie galere, dovette soggiacere alle brutalità, al sadismo delle guardie, alle privazioni e alle durezze del sistema carcerario.